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		James Lovelock, uno scrittore free-lance, esperto di chimica 
		dell’atmosfera, vede la vita rappresentata da un sistema ambientale che 
		si autosostenga e che egli chiama Gaia.
		Gaia, nome dato dal 
		romanziere William Golding (su richiesta di Lovelock) e derivato 
		dall’antica dea greca della terra, opera in modi misteriosi. Sistema 
		superorganismico, che comprende tutti i viventi della Terra, esso 
		conserva ipoteticamente la composizione dell’aria e la temperatura sulla 
		superficie del pianeta, regolando le condizioni per la continuazione 
		della vita. Mentre l’intricato intreccio delle relazioni biologiche 
		mediante le quali la vita fa questo non è ancora ben conosciuto il fatto 
		che il bioma terrestre controlli porzioni della superficie del pianeta è 
		un fatto altrettanto ben stabilito di quello per cui il nostro corpo si 
		mantiene a una temperatura costante. Gaia, così. Può impedire che 
		l’azoto e l’ossigeno atmosferici, così importanti per la vita, 
		degenerino in nitrati e ossidi di azoto, in sali e gas esilarante che 
		potrebbero bloccare l’intero sistema. Se non vi fosse una costante 
		produzione a livello mondiale di nuovo ossigeno da parte degli organismi 
		fotosintetizzanti, se non vi fosse liberazione di azoto gassoso da parte 
		dei batteri che utilizzano per la respirazione nitrati e ammoniaca, si 
		svilupperebbe rapidamente intorno alla Terra un’atmosfera inerte o 
		addirittura velenosa. Sotto l’influenza reattiva di una grande quantità 
		di fulmini che fanno sfavillare a ogni minuto l’atmosfera terrestre, la 
		terra non sarebbe più ospitale per la vita di quanto lo è l’acida 
		Venere. Sulla Terra l’ambiente è stato prodotto e controllato dalla vita 
		proprio come la vita è stata prodotta e influenzata dall’ambiente.
		La cosa sorprendente 
		riguardo al nostro pianeta azzurro, chiazzato di bianco, è che la 
		peculiarità della vita, con la sua incredibile diversità e 
		caratteristica unità biochimica, continua. Essendo noi obbligati a 
		comunicare gli uni con gli altri in una lingua tradizionale, è difficile 
		afferrare la definizione della vita come sistema autopoietico che si 
		riproduce. Eppure, secondo quanto sostiene Lovelock nella sua ipotesi, 
		che egli ha chiamato ipotesi Gaia, lo stesso bioma terrestre ivi incluso 
		l’ Homo sapiens, è autopoietico: riconosce, regola, e crea le 
		condizioni necessarie per la propria ininterrotta sopravvivenza. 
		I reperti fossili 
		appoggiano l’idea che la superficie terrestre sia stata soggetta senza 
		interruzione a una regolamentazione fin dalla primissima comparsa e 
		diffusione della vita microbiotica. L’ipotesi Gaia, secondo cui la 
		temperatura e la composizione dell’atmosfera terrestre in gas reattivi 
		sarebbero regolate attivamente dall’insieme di flora e fauna venne messa 
		a punto da Lovelock mentre stava lavorando per la NASA sui modi di 
		scoprire la vita su Marte. Lovelock trovò che, nella nostra atmosfera, 
		coesistono gas che, quando vengono saggiati in sistemi chimici semplice, 
		reagiscono prontamente, facilmente e completamente, per dare origine a 
		composti stabili. Sembra però che questi gas rimangano separati, in 
		apparente inosservanza delle leggi che regolano l’equilibrio chimico 
		standard. Lovelock trovò la chimica dell’atmosfera terrestre così 
		persistentemente bizzarra da poterla attribuire soltanto alle proprietà 
		collettive degli organismi, in particolare al bioma terrestre. In 
		effetti, questo, in particolare il bioma di dimensioni microscopiche, 
		produce costantemente enormi quantità di gas reattivi. Ricercando questi 
		improbabili miscugli di gas nelle atmosfere di altri pianeti con 
		spettroscopi montati su telescopi, Lovelock pensava di poter scoprire 
		senza lasciare la Terra biosfere estranee. Rivolgendo la propria 
		attenzione a Marte, egli trovò che questo pianeta era in un equilibrio 
		assolutamente comprensibile sulla base soltanto della chimica e della 
		fisica. Postulò l’assenza della vita su di esso rilevando l’assenza del 
		fenomeno Gaia. Ma, nel 1975, la NASA, pronta per l’atterraggio sul 
		pianeta rosso, non volle pubblicizzare la semplice soluzione che egli 
		proponeva per l’annoso problema della vita su Marte.
		Nulla, tuttavia, andò 
		perduto. La missione Viking ebbe inizio nel 1975 e, nel 1976, due 
		satelliti da atterraggio e due in orbita giunsero su Marte. Gli 
		esperimenti biologici, effettuati a bordo e in seguito a atterraggio 
		morbido sulla superficie del pianeta, ebbero un successo spettacolare, 
		dimostrando in modo definitivo che non vi era alcun segno di vita sul 
		pianeta rosso. Il lavoro di Lovelock fornì una base per capire i 
		risultati. Inoltre, l’analisi da lui condotta diede alla biosfera una 
		nuova veste. Il mistero della vita sulla Terra era altrettanto grande di 
		quanto questo stesso mistero lo fosse altrove, nell’universo. Perché la 
		Terra ha un’atmosfera così diversa da quella che si può prevedere su 
		semplice base chimica? Dato che l’ossigeno costituisce il 20% 
		dell’atmosfera, gli squilibri relativi creati, tra gli altri gas, nel 
		metano, nell’ammoniaca, nei gas sulfurei, nel cloruro di metile sono 
		enormi. In base ai calcoli chimici, le quantità di questi gas, che 
		reagiscono così facilmente con l’ossigeno, dovrebbero essere così minime 
		da non potersi riconoscere. Invece esse sono presenti e continuano a 
		esserlo ogniqualvolta le si cerchi. In effetti, vi è una quantità di 
		metano, nell’atmosfera terrestre, che è superiore di 1035 
		volte (dieci alla trentacinquesima potenza, o uno seguito da 
		trentacinque zeri) alla quantità che dovrebbe esserci, considerando la 
		quantità di ossigeno disponibile per reagire con essa. Altri gas, come 
		l’azoto, il monossido di carbonio e l’ossido nitroso sono solo più 
		abbondanti di 10 miliardi, 10 e 10000 miliardi di volte, rispetto a 
		quello che dovrebbero essere sulla base della chimica soltanto.
		Un ulteriore enigma 
		riguarda la temperatura della Terra. Sembra che le leggi della fisica 
		rendano inevitabile il fatto che la luminosità totale del Sole, cioè il 
		suo output di energia come luce, sia aumentata negli ultimi 4 miliardi 
		di anni, forse anche del 50%. Eppure, da prove ricavate dai reperti 
		fossili indicano che la temperatura terrestre è rimasta relativamente 
		stabile, oscillando il valor medio attorno a 22° C circa, pressappoco la 
		temperatura ambiente, malgrado le temperature molto basse che ci si 
		aspetta da uno sparuto Sole primitivo. È risultato, dunque, che la vita 
		non solo regolava su scala mondiale la composizione dei gas, ma teneva, 
		a quanto pare, sotto una specie di controllo continuo anche la stessa 
		temperatura del pianeta. Che cos’era questo grande termostato nascosto?
		Respingendo le soluzioni 
		mistiche, Lovelock teorizzò che il bioma terrestre, specialmente il 
		microcosmo batterico, doveva aver regolato il proprio ambiente su scala 
		globale fin dalla sua primissima comparsa sul pianeta. Le forme di vita 
		reagiscono alle crisi geologiche e cosmiche che provocano perturbazioni; 
		resistono quanto più a lungo possibile agli attacchi che vengono portati 
		alla loro integrità individuale; e queste azioni individuali portano a 
		una conservazione generale delle condizioni favorevoli alla 
		sopravvivenza collettiva. (Ciò non significa che non vi furono mai 
		fluttuazioni: esse ci furono. Per esempio, a giudicare dalla grande 
		estensione dei fossili delle foreste tropicali del Cretaceo, il pianeta 
		doveva essere ben più caldo all’epoca dei dinosauri. Sia prima sia dopo 
		buona parte della sua superficie fu coperta da ampie distese di 
		ghiaccio. Ma sia tra l’una e l’altra di queste fluttuazioni sia dopo di 
		esse la Terra si stabilizzò, non arroventandosi come Venere, né 
		congelando come Marte.
		Se il bioma terrestre non 
		avesse risposto alle principali perturbazioni esterne come l’aumento 
		della luminosità solare o gli impatti meteoritici, tanto devastanti 
		quanto lo sono oggi le bombe nucleari, non saremmo qui ora. La vita, 
		concludeva Lovelock, non è circondata da un ambiente essenzialmente 
		passivo a cui essa si è adattata. Al contrario, essa fa e rifà il 
		proprio ambiente. L’atmosfera, come un alveare o un nido di uccello, è 
		parte della biosfera. Poiché l’anidride carbonica viene trasformata 
		nelle cellule e può essere anche utilizzata per controllare la 
		temperatura dell’atmosfera, è probabile che un modo in cui la vita 
		regoli la temperatura del pianeta sia modulando il livello atmosferico 
		di anidride carbonica.
		Alcuni scienziati 
		contestano l’analisi di Lovelock. L’idea della vita sulla terra come 
		superorganismo che risponde alle minacce a agli insulti ambientali per 
		assicurarsi la sopravvivenza non concorda con le idee ormai accettate 
		dell’evoluzione darwiniana, la quale dipende dalla competizione 
		di organismi in lotta. Ammettendo che Lovelock abbia ragione, come fa la 
		massa di geni in lotta all’interno delle cellule di organismi 
		localizzati sulla superficie terrestre a sapere che deve 
		affrontare delle crisi? W. Ford Doolittle, l’esperto di biologia 
		molecolare che ha effettuato una ricerca, germe di ulteriori sviluppi, 
		sulla biologia molecolare dei plastidi, protestò contro questa nozione 
		di natura, come egli la definiva, "materna". Richard Dawkins, zoologo 
		dell’Università di Oxford, paragonò l’ipotesi Gaia al programma "BBC 
		theorem", con un riferimento spregiativo alla nozione della natura come 
		equilibrio e armonia meravigliosi, data dai documentari televisivi. 
		Dawkins non poteva concepire l’evoluzione dei meccanismi di Gaia, di 
		controllo a livello mondiale, senza un universo "pieno di pianeti morti, 
		i cui sistemi di regolazione omeostatica erano venuti meno, e con una 
		manciata di pianeti ben regolati, ben riusciti, sparsi tutt’attorno e di 
		cui uno era la Terra."
		Per rispondere a queste 
		critiche, Lovelock progettò alcuni modelli matematici. Quello più 
		spettacolare, il Daisy World (il mondo delle margherite), considera un 
		pianeta mitico che può essere ricoperto soltanto da margherite nere e 
		bianche e da una occasionale mucca che mastica rumorosamente margherite. 
		Le margherite rappresentano due specie, che crescono entrambe a chiazze 
		e ricoprono fino al 70% del pianeta entro intervalli specifici di 
		temperatura. Entrambe non crescono affatto dove fa molto freddo, 
		crescono lentamente al freddo, più rapidamente al caldo e non crescono 
		affatto, anzi muoiono, alle temperature opprimenti al di spora dei 45°C.
		Lovelock, che in seguito 
		cominciò a lavorare con Andrew Watson alla Marine Biological Association 
		di Plymouth, in Inghilterra, trovò che le margherite bianche e nere 
		potevano funzionare come un gigantesco termostato, rendendo stabile la 
		temperatura di un intero pianeta semplicemente crescendo. Il fenomeno 
		non è misterioso, ma sinergico: è il risultato inatteso di un sistema 
		complesso.
		Si può immaginare come 
		operi Daisy World. Si prenda un pianeta di margherite nere e bianche, 
		che ruoti attorno a una stella, il Sole, la quale rallenta ma diventa 
		costantemente più brillante. All’inizio, essendo il Sole freddo, non 
		cresceranno molte margherite. A mano a mano che esso diventerà più 
		caldo, chiazze di margherite di entrambi i colori spunteranno e 
		cresceranno rigogliosamente. Ma, quando le margherite nere fioriranno e 
		produrranno un maggior numero di discendenti, perché sono scure e 
		assorbono una la luce del Sole, impediranno a questa luce di essere 
		riflessa nello spazio. La crescita di macchie di margherite nere, che 
		assorbono calore, ha l’effetto di riscaldare un pianeta che, altrimenti, 
		sarebbe freddo. Ma ben presto l’ambiente circostante raggiunge un calore 
		opprimente e comincia a limitare la crescita delle margherite nere nelle 
		immediate vicinanze. L’aumento delle temperature locali porta a un 
		aumento globale della temperatura più forte del previsto, in un mondo 
		senza margherite. Cominciano allora a crescere chiazze di margherite 
		bianche. Ciò porta a un aumento della riflettività planetaria, o albedo, 
		dato che la superficie bianca dei petali delle margherite riflette la 
		luce nello spazio, con la conseguenza di un ritorno su tutto il pianeta 
		a temperature più fredde. Le margherite nere ricominciano a spuntare. Ma 
		il Sole, nel frattempo, continua a diventare più caldo e le margherite 
		bianche, riflettendo il calore, continuano a fiorire e a raffreddare il 
		pianeta. In breve, il Sole diventa più caldo, si formano chiazze sempre 
		più estese di margherite bianche, Daisy World diventa più freddo, il che 
		porta a una nuova crescita di chiazze di margherite nere, le quali di 
		nuovo si surriscaldano, creando ancora una voltale condizioni più 
		favorevoli alle margherite bianche. Ciò raffredda nuovamente Daisy World 
		incrementandone l’albedo, e così via fino a che il Sole diventa una 
		gigante rossa e brucia tutte le margherite. Ma, entro certi limiti di 
		temperature, le margherite funzionano molto semplicemente da termostato, 
		mantenendo il mondo vivibile, malgrado un aumento potenzialmente letale 
		della quantità di energia solare che raggiunge il pianta. I fiori 
		regolano silenziosamente la temperatura del pianeta fino a un grado 
		notevole, entro quello stretto intervallo che è necessario alla loro 
		sopravvivenza quando il Sole si riscalda inesorabilmente.
		In modelli più simili al 
		mondo reale sono la crescita, il metabolismo e le proprietà che 
		riguardano gli scambi di gas nei microbi, più che le margherite, a 
		formare i complessi sistemi di retroazione fisici e chimici che modulano 
		la biosfera in cui viviamo. Gli organismi viventi, attraverso il loro 
		effetto sull’acqua e sulle nubi, hanno una immensa influenza modulatrice 
		sulla Terra. Tanto per fare un esempio, minuscole alghe che galleggiano 
		sul mare possono ipoteticamente fare entrare il mondo in un’epoca 
		glaciale semplicemente crescendo più rapidamente alle latitudini 
		settentrionali. Nel produrre i guscetti di carbonato di calcio, morendo 
		e inabiassandosi sul fondo dei mari, rimuovono il carbonio necessario 
		per produrre anidride carbonica; poiché l’anidride carbonica è un gas da 
		"effetto serra", che agisce come manto invisibile che fa entrare la luce 
		e la trattiene sotto forma di calore, una minore quantità di anidride 
		carbonica nell’atmosfera si traduce in un abbassamento delle 
		temperature. Ma, con temperature più basse, le alghe crescono meno, meno 
		anidride carbonica viene rimossa nell’aria per produrre guscetti e il 
		pianeta diventa tropicale. I circuiti di retroazione sono, perciò, così 
		strettamente collegati che una moria massiccia di alghe marine, 
		accoppiate all’erosione di rocce carbonatiche da parte dell’acqua, 
		processo che libera anidride carbonica nell’atmosfera, può anche 
		provocare un aumento termico dell’atmosfera.
		In effetti, nel 1979 e 
		1980, i ricercatori europei hanno analizzato dell’aria "fossile", 
		rimasta intrappolata nei ghiacci polari e hanno trovato che circa 20000 
		anni or sono, al culmine dell’ultima glaciazione, l’anidride carbonica 
		aveva una concentrazione pari sola a due terzi di quella che si sarebbe 
		avuta all’inizio della rivoluzione industriale. Immediatamente prima che 
		gli esseri umani diventassero agricoltori e costituissero le prime 
		civiltà, l’anidride carbonica raggiunse il livello preindustriale. 
		L’aumento di anidride carbonica e della temperatura 12000 anni or sono 
		ebbe luogo in meno di 100 anni e non può essere interamente spiegato da 
		processi tradizionali geofisici o geochimici, come l’attività tettonica 
		o il corrugamento. Una fluttuazione così improvvisa poteva provenire 
		solamente dalla vita. Lovelock ritiene che l’improvvisa moria di una 
		percentuale sostanziale di alghe marine causò probabilmente questo 
		rapido aumento della temperatura mondiale, una trasformazione ambientale 
		che alla fine permise agli esseri umani di uscire dalle caverne e di 
		popolare la Terra.
		Col tempo, il bioma 
		terrestre edificò elaborati sistemi di controllo di cui solo ora stiamo 
		diventando vagamente consapevoli. La moltitudine dei sistemi sensoriali 
		negli organismi viventi, la capacità di questi di avere un metabolismo e 
		una crescita esponenziale e la straordinaria diversità dei viventi che 
		interagiscono sulla Terra sono sufficienti a spiegare, in teoria, la 
		modulazione ambientale su scala globale.
		Ma questo genere di 
		modulazione ambientale opera anche su una scala più piccola. Anche sulla 
		scala di gran lunga più piccola dei singoli animali, la regolazione 
		della temperatura comporta più di un semplice singolo sistema di 
		retroazione. Realizziamo un esperimento mentale in cui una persona (un 
		insieme di cellule, come il bioma terrestre) deve affrontare un netto 
		calo della temperatura ambientale. Il suo primo tipo di risposta sarebbe 
		la tattica evolutasi più di recente: una risposta da alta tecnologia, 
		che consisterebbe nel girare il termostato, nell’inserire il radiatore 
		elettrico, o addirittura nel pagare per il servizio di teleriscaldamento 
		attraverso un modem del proprio computer domestico. Benché queste 
		modalità diventeranno forme sempre più comuni di regolazione della 
		temperatura, esse sono così recenti da essere ancora estremamente 
		incerte tra i vari sistemi di retroazione. A un livello più basso, vi 
		sono invece le risposte da "bassa tecnologia" ai rischi delle basse 
		temperature: avvolgersi in coperte e vestirsi con abiti più pesanti. 
		Questo tipo di tecnologia, ereditata dall’abitudine di prendere in 
		trappola gli animali di climi freddi o cacciarli, utilizzando poi le 
		loro pelli e pellicce folte per proteggersi, è antica di circa 100000 
		anni. Il cucito, un suo importante perfezionamento, potrebbe, a 
		giudicare dai reperti archeologici di aghi per cucire il legno, avere 
		aiutato le popolazioni orientali ad attraversare lo stretto di Bering 
		per recarsi nell’America settentrionale. Il circuito di retroazione dei 
		vestiti è semplice: quando la temperatura si abbassa i vestiti vengono 
		indossati; quando si innalza vengono tolti. La regolazione della 
		temperatura, come comportamento, ha fatto la sua comparsa negli esseri 
		umani molto prima che venissero costruiti i sistemi di riscaldamento a 
		base di combustibili fossili ed è ancor oggi predominante.
		Se continuiamo a 
		sottoporre il soggetto del nostro esperimento a uno stato di stress, 
		indurremo in lui un metodo di regolazione della temperatura ancora più 
		antico e ancora più affidabile: si tratta di sistemi comportamentali, 
		non tecnologici, di retroazione. Queste risposte si possono fare 
		risalire a qualcosa come 200 milioni di anni or sono e consistono nel 
		correre, nel fregarsi braccia e gambe, nel rannicchiarsi e nell’assumere 
		la posizione fetale, arrotolandosi, quando si ha freddo. Quando sono 
		minacciati dal caldo, i mammiferi come noi reagiscono con un 
		comportamento opposto: stendono gli arti e cercano l’ombra. In generale 
		diventano meno attivi. Tuttavia i mammiferi condividono questo tipo di 
		meccanismo di controllo della temperatura, che dipende dall’avere un 
		sistema nervoso sufficientemente complesso, base del comportamento 
		appreso. A mano a mano che ci avviciniamo al microcosmo originale, i 
		sistemi di retroazione diventano ancora più prevedibili, fondamentali e 
		affidabili.
		Ancora più antichi dei 
		sistemi comportamentali sono i tipi di controllo rigorosamente 
		fisiologici. Quando l’ambiente si raffredda, i vasi sanguigni dei 
		mammiferi si allontanano automaticamente dalla superficie cutanea per 
		contrazione dei muscoli che si trovano nelle loro pareti. Più lontano 
		della pelle, il sangue viene rifornito agli organi vitali in maggiore 
		quantità e gli organismi risultano così più protetti. Segue il 
		congelamento: le dita delle mani e dei piedi ed altre estremità 
		diventano fredde come ghiaccio e intirizzite. Se il soggetto è ancora 
		sotto stress, si ha il distacco delle estremità. Il naso e la punta 
		delle orecchie, le dita delle mani e dei piedi si staccano. La 
		sudorazione, che è la risposta opposta, si basa sull’evaporazione di 
		acqua per raffreddare il corpo. Queste risposte fisiologiche alla 
		temperatura sono ancora più antiche e ben radicate delle altre. Forse 
		sono tanto antiche quanto gli stessi animali (circa 600 milioni di anni 
		or sono).
		Se, nel nostro 
		esperimento mentale, continuiamo a sottoporre il soggetto alla tensione 
		del freddo, spingiamo fino al limite il suo sistema autopoietico e 
		mettiamo a nudo l’antico metodo genetico di controllo della temperatura. 
		Se l’ambiente diventa freddo oltre il limite di tolleranza dell’uomo, 
		questi muore e non lascia (ulteriore) prole. Se la tensione del freddo 
		continua, l’intera popolazione e comunità congela fino a morire senza 
		lasciare discendenti. Tuttavia, nuove popolazioni e comunità 
		sostituiscono le vecchie, e alcune hanno mezzi più efficaci per 
		combattere il freddo. Solo organismi diversi o mutanti, in grado di 
		tollerare condizioni climatiche rigide, riusciranno a sopravvivere. 
		Un’enorme pressione selettiva viene esercitata su quegli organismi che 
		possono migliorare gli effetti dell’ambiente e del freddo circostante.
		Questo è ciò che è 
		avvenuto di solito nel mondo. Se la tensione è abbastanza forte, 
		sopravviveranno soltanto gli organismi tolleranti. In altre parole, 
		quando fa troppo caldo, le cellule muoiono. Quando fa troppo freddo, le 
		cellule muoiono. Quando la temperatura è giusta, le cellule lasciano una 
		numerosa progenie. Ma il "giusto" della temperatura dipende da ogni 
		genere di vita. La selezione naturale darwiniana è l’ultimo antico 
		sistema di retroazione di Gaia su cui tutti quelli tecnologici e 
		comportamentali più recenti si basano. Oggi, se si ha freddo si accende 
		il riscaldamento, quindi si mette un maglione, poi si comincia a tremare 
		per generare calore. Se il freddo incalza ancora, si entra in uno stato 
		di torpore, in cui il metabolismo si abbassa; se il freddo aumenta 
		ancora e non cede, si muore. Ma la morte individuale fa parte dei 
		sistemi più ampi di stabilizzazione ambientale. Prima di morire, 
		l’individuo ha fatto aumentare la temperatura ambientale e, morendo e 
		non lasciando una prole simile a sé, ha fatto diminuire le probabilità 
		che i futuri periodi di freddo distruggano la vita, spianando la via 
		alla riproduzione di organismi adattati alle basse temperature.
		Sistemi viventi di 
		regolazione della temperatura e dell’atmosfera a livello planetario 
		possono solo essere immaginati. Da una prospettiva planetaria, tuttavia, 
		non sembra che essi siano in un equilibrio naturale difficile, sull’orlo 
		del collasso. Al contrario, sono vigorosi. I sistemi di controllo 
		ambientale più importanti sono le istituzioni microcosmiche collaudate 
		dal tempo, che producono gas e modificano l’albedo, e che sono di gran 
		lunga più resistenti e più antiche della combustione di oli minerali per 
		riscaldamento e dell’impiego di termostati domestici. Per quanto 
		riguarda il futuro, la nostra specie potrebbe essere come quelle 
		margherite nere rigogliose, che crescono così rapidamente da rendere 
		ottimale l’ambiente per altre margherite, perfino quando si arroventano 
		sino alla morte. Ogni individuo, popolazione o specie è un’opzione che 
		si esercita soltanto in condizioni favorevoli. In caso di catastrofe, 
		come regolarmente avviene nella storia della vita, alcune opzioni non 
		saranno più valide. Ma la loro fine, sia come morte individuale sia come 
		estinzione, renderà la biosfera nel suo insieme più robusta, più 
		complessa e con maggiore capacità di ripresa. (Ciò, naturalmente, non ha 
		nulla a che vedere con il progresso o il benessere umano. Nella 
		documentazione fossile non si nota alcun segno di progresso, solo di 
		cambiamento ed espansione.)
		Inoltre, sembra che la 
		maggior parte delle opzioni procariotiche non si sia ancora estinta. Né 
		l’esistenza né l’estinzione di specie sono una proprietà dei batteri. 
		Benché la morte individuale dei batteri avvenga senza interruzione, 
		forti pressioni sul regno delle monere per la capacità di effettuare 
		scambi genetici a livello mondiale hanno portato al rapido scambio di 
		biotecnologie naturali, a enormi tassi di crescita delle popolazioni e, 
		in generale, alla capacità di resistere con attitudini metaboliche 
		intatte anche durante le più gravi crisi planetarie.
		Solo con un’esplorazione 
		scientifica completa dei meccaniscmi di controllo di Gaia ci si può 
		attendere di attuare nello spazio habitat viventi che si autosostentino. 
		Se mai dovessimo progettare ecosistemi chiusi in grado di rifornire le 
		loro proprie riserve vitali, dovremmo studiare la tecnologia naturale 
		della Terra. Abitare altri mondi, avere la possibilità di passeggiare in 
		giardini, per esempio, su Marte, è un progetto gigantesco, che si può 
		pensare soltanto da una prospettiva di Gaia. Dovremmo conoscere le 
		nostre radici nel microcosmo prima di andare in quel limbo che è il 
		supercosmo. Ma, sia che l’uomo porti nello spazio l’ambiente primevo 
		dell’antico microcosmo si che, cercando di farlo, muoia, sembra proprio 
		che la vita sia tentata in questa direzione. E la vita, finora, ha 
		resistito a tutto, tranne che alla tentazione.
		
		tratto da
		
		
		Microcosmo
		'Dagli 
		organismi primordiali all'uomo: un'evoluzione di quattro miliardi di 
		anni'
		di Lynn Margulis e Dorion Sagan
		 -Mondadori-