)*(Stazione Celeste)

Proviamo

19 marzo 2004

 

Proviamo ad immaginare la vita, su basi concrete, in un ambiente energetico dove la fisicità non ha valore.

Proviamo a spingerci oltre il confine che la fisicità impone a chi, in un corpo fisico, ha sensi e coscienza adeguati a questo scopo.

Proviamo a stabilire una connessione ed un contatto con un’interiorità che, non fisica, presenta ed offre caratteristiche adatte per spingersi dove l’energia non fa distinguo tra vivi e morti poiché ciò che conta è la coscienza che consente di sapersi vivi in tale realtà.

 

Questo stato di coscienza appartiene ai morti che sono costretti a farselo quando, morti, devono rendersi conto di essere ancora vivi nella loro realtà; può appartenere ai vivi che osano avventurarsi nelle profondità dell’essere perché comprendono che vita non può essere pura e semplice fisicità.

 

Proviamo dunque a prendere confidenza con un mondo che può appartenere solo e se lo si riconosce come realtà.

Proviamo ad aprire questa “porta” per entrare a far parte, assieme ai “morti” che lo accettano e lo vogliono, di una catena di luce che ha il compito di aiutare l’ascensione per agevolarne processo e sintesi.

 

Aprire una porta permette di guardare o entrare; può significare avere il coraggio di entrare perché ci si rende conto che l’oltre è esplorabile se lo si intende fare.

 

Bisogna però esserne capaci e la capacità si ottiene praticando il silenzio interiore. Sapendo ascoltare se stessi.

Capacità questa che porta a conoscere ed approfondire temi relativi all’essere, all’esistenza ed alla struttura che collega il fisico col sottile così da avere chiaro il metodo da seguire per spostarsi in quelle parti di sé che ospitano l’universo e la vita.

 

Dentro di sé si cela un grande mistero. Un arcano incredibile che assicura vita alla vita dandole continuità o immediatezza a seconda dell’uso che se ne fa.

Come a dire che, interpretando la vita, è la consapevolezza in ciò che si è che determina il tempo che, proprio per questo, si manifesta nel modo in cui è stato programmato.

 

Naturalmente ciò porta a percorrere il tempo per trovare il bandolo della matassa; o a riassorbirlo in sé, in funzione delle proprie capacità dovute dalla consapevolezza, per essere immediatamente sempre: l’ora vivente.

 

L’immediatezza è totalità, è l’insieme che è tutto determinando tutto senza bisogno di scomporsi in tanti sé per verificarlo.

Ma è uno stato assoluto, totale che, visto come utopico, non viene considerato a fondo mentre invece può essere vissuto. Va vissuto per partecipare alla vita in modo globale così da concepire l’universo dentro di sé come realtà vera e sostanziale.

 

E non c’è bisogno di abbandonare il corpo per verificarlo.

L’uomo non ha bisogno di dover morire per apprendere che non si muore. Non deve avere questo timore, creato dal tempo, che lo occlude in una struttura in trasformazione che serve in fondo alla materia per concepirsi divina ed immortale. 

L'uomo non deve identificarsi in questa struttura relativa perché, restandone schiacciato, obbliga la stessa ad un cammino di consapevolezza che però non le appartiene. Che non le è proprio poiché basato sulla sofferenza che un pseudo uomo, un uomo psichico, le riversa addosso perché a sua volta non comprende.

 

Nell’unità uomo esistono contemporaneamente tante realtà, parallele e non concepite come vita nella vita; come vita che si rinnova continuamente seguendo regole e logiche relative a coscienze che nulla hanno da vedere con la coscienza umana.

 

Queste realtà parallele sono universi di crescita ed apprendimento relativi alle forme ed alla loro evoluzione. 

Il fatto che l’uomo rappresenti un insieme che le racchiude, non le priva della loro identità di gruppo. Le pone soltanto in uno stato di sofferenza perché non libere di potersi esprimere al loro meglio, che coinciderebbe perfettamente con l’esatta funzione che devono svolgere proprio nel corpo del quale fanno parte per proseguire il loro viaggio esperenziale energetico nel loro universo di appartenenza.

 

L’identificazione nella carne produce uno squilibrio psichico perché origina l’uomo psichico che s’accorge d’essere energia solo quando, morto, morto in quanto carne, si scopre vivo in un universo che non è quello fisico ma nel quale era anche prima mentre viveva nel fisico.

 

Questa contemporaneità non colta genera lo scompenso e non consente l’immediatezza che deve invece caratterizzare l’uomo. Che doveva caratterizzare l’uomo e che sarà caratteristica dell’uomo nuovo.

 

Sapendo chi si è, sapendo come vivere contemporaneamente in ogni propria realtà, muta la realtà stessa. Ed il tempo assume la valenza che merita: funzionale agli scopi per cui è necessario, ma non misura di tempo per l’energia e l’anima.

 

Collegare l’anima all’energia è il passo indispensabile per concepire la vita: è il passaggio indispensabile per trasferirsi all’interno della vita senza subire il flusso di una relatività, quella umana e terrestre in generale, che non può dettar legge nell’universo. Anzi, che deve crescere attraverso l’universo per concepire vita a profondità maggiori, diverse e sempre più in grado di autoalimentarsi perché nella capacità di essere vita.

 

La vita dunque, vero enigma da chiarire, appartiene nella misura in cui se ne ha cosciente consapevolezza; fino ad essere coerenti creatori del mondo e di se stessi concependo che tutto ciò che è, è solo perché così si vuole.

Ma questo è un aspetto ancora troppo fragile per potere essere compreso appieno e di conseguenza realizzato.

 

 

 

 “FMOO”