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James Lovelock, uno scrittore free-lance, esperto di chimica
dell’atmosfera, vede la vita rappresentata da un sistema ambientale che
si autosostenga e che egli chiama Gaia.
Gaia, nome dato dal
romanziere William Golding (su richiesta di Lovelock) e derivato
dall’antica dea greca della terra, opera in modi misteriosi. Sistema
superorganismico, che comprende tutti i viventi della Terra, esso
conserva ipoteticamente la composizione dell’aria e la temperatura sulla
superficie del pianeta, regolando le condizioni per la continuazione
della vita. Mentre l’intricato intreccio delle relazioni biologiche
mediante le quali la vita fa questo non è ancora ben conosciuto il fatto
che il bioma terrestre controlli porzioni della superficie del pianeta è
un fatto altrettanto ben stabilito di quello per cui il nostro corpo si
mantiene a una temperatura costante. Gaia, così. Può impedire che
l’azoto e l’ossigeno atmosferici, così importanti per la vita,
degenerino in nitrati e ossidi di azoto, in sali e gas esilarante che
potrebbero bloccare l’intero sistema. Se non vi fosse una costante
produzione a livello mondiale di nuovo ossigeno da parte degli organismi
fotosintetizzanti, se non vi fosse liberazione di azoto gassoso da parte
dei batteri che utilizzano per la respirazione nitrati e ammoniaca, si
svilupperebbe rapidamente intorno alla Terra un’atmosfera inerte o
addirittura velenosa. Sotto l’influenza reattiva di una grande quantità
di fulmini che fanno sfavillare a ogni minuto l’atmosfera terrestre, la
terra non sarebbe più ospitale per la vita di quanto lo è l’acida
Venere. Sulla Terra l’ambiente è stato prodotto e controllato dalla vita
proprio come la vita è stata prodotta e influenzata dall’ambiente.
La cosa sorprendente
riguardo al nostro pianeta azzurro, chiazzato di bianco, è che la
peculiarità della vita, con la sua incredibile diversità e
caratteristica unità biochimica, continua. Essendo noi obbligati a
comunicare gli uni con gli altri in una lingua tradizionale, è difficile
afferrare la definizione della vita come sistema autopoietico che si
riproduce. Eppure, secondo quanto sostiene Lovelock nella sua ipotesi,
che egli ha chiamato ipotesi Gaia, lo stesso bioma terrestre ivi incluso
l’ Homo sapiens, è autopoietico: riconosce, regola, e crea le
condizioni necessarie per la propria ininterrotta sopravvivenza.
I reperti fossili
appoggiano l’idea che la superficie terrestre sia stata soggetta senza
interruzione a una regolamentazione fin dalla primissima comparsa e
diffusione della vita microbiotica. L’ipotesi Gaia, secondo cui la
temperatura e la composizione dell’atmosfera terrestre in gas reattivi
sarebbero regolate attivamente dall’insieme di flora e fauna venne messa
a punto da Lovelock mentre stava lavorando per la NASA sui modi di
scoprire la vita su Marte. Lovelock trovò che, nella nostra atmosfera,
coesistono gas che, quando vengono saggiati in sistemi chimici semplice,
reagiscono prontamente, facilmente e completamente, per dare origine a
composti stabili. Sembra però che questi gas rimangano separati, in
apparente inosservanza delle leggi che regolano l’equilibrio chimico
standard. Lovelock trovò la chimica dell’atmosfera terrestre così
persistentemente bizzarra da poterla attribuire soltanto alle proprietà
collettive degli organismi, in particolare al bioma terrestre. In
effetti, questo, in particolare il bioma di dimensioni microscopiche,
produce costantemente enormi quantità di gas reattivi. Ricercando questi
improbabili miscugli di gas nelle atmosfere di altri pianeti con
spettroscopi montati su telescopi, Lovelock pensava di poter scoprire
senza lasciare la Terra biosfere estranee. Rivolgendo la propria
attenzione a Marte, egli trovò che questo pianeta era in un equilibrio
assolutamente comprensibile sulla base soltanto della chimica e della
fisica. Postulò l’assenza della vita su di esso rilevando l’assenza del
fenomeno Gaia. Ma, nel 1975, la NASA, pronta per l’atterraggio sul
pianeta rosso, non volle pubblicizzare la semplice soluzione che egli
proponeva per l’annoso problema della vita su Marte.
Nulla, tuttavia, andò
perduto. La missione Viking ebbe inizio nel 1975 e, nel 1976, due
satelliti da atterraggio e due in orbita giunsero su Marte. Gli
esperimenti biologici, effettuati a bordo e in seguito a atterraggio
morbido sulla superficie del pianeta, ebbero un successo spettacolare,
dimostrando in modo definitivo che non vi era alcun segno di vita sul
pianeta rosso. Il lavoro di Lovelock fornì una base per capire i
risultati. Inoltre, l’analisi da lui condotta diede alla biosfera una
nuova veste. Il mistero della vita sulla Terra era altrettanto grande di
quanto questo stesso mistero lo fosse altrove, nell’universo. Perché la
Terra ha un’atmosfera così diversa da quella che si può prevedere su
semplice base chimica? Dato che l’ossigeno costituisce il 20%
dell’atmosfera, gli squilibri relativi creati, tra gli altri gas, nel
metano, nell’ammoniaca, nei gas sulfurei, nel cloruro di metile sono
enormi. In base ai calcoli chimici, le quantità di questi gas, che
reagiscono così facilmente con l’ossigeno, dovrebbero essere così minime
da non potersi riconoscere. Invece esse sono presenti e continuano a
esserlo ogniqualvolta le si cerchi. In effetti, vi è una quantità di
metano, nell’atmosfera terrestre, che è superiore di 1035
volte (dieci alla trentacinquesima potenza, o uno seguito da
trentacinque zeri) alla quantità che dovrebbe esserci, considerando la
quantità di ossigeno disponibile per reagire con essa. Altri gas, come
l’azoto, il monossido di carbonio e l’ossido nitroso sono solo più
abbondanti di 10 miliardi, 10 e 10000 miliardi di volte, rispetto a
quello che dovrebbero essere sulla base della chimica soltanto.
Un ulteriore enigma
riguarda la temperatura della Terra. Sembra che le leggi della fisica
rendano inevitabile il fatto che la luminosità totale del Sole, cioè il
suo output di energia come luce, sia aumentata negli ultimi 4 miliardi
di anni, forse anche del 50%. Eppure, da prove ricavate dai reperti
fossili indicano che la temperatura terrestre è rimasta relativamente
stabile, oscillando il valor medio attorno a 22° C circa, pressappoco la
temperatura ambiente, malgrado le temperature molto basse che ci si
aspetta da uno sparuto Sole primitivo. È risultato, dunque, che la vita
non solo regolava su scala mondiale la composizione dei gas, ma teneva,
a quanto pare, sotto una specie di controllo continuo anche la stessa
temperatura del pianeta. Che cos’era questo grande termostato nascosto?
Respingendo le soluzioni
mistiche, Lovelock teorizzò che il bioma terrestre, specialmente il
microcosmo batterico, doveva aver regolato il proprio ambiente su scala
globale fin dalla sua primissima comparsa sul pianeta. Le forme di vita
reagiscono alle crisi geologiche e cosmiche che provocano perturbazioni;
resistono quanto più a lungo possibile agli attacchi che vengono portati
alla loro integrità individuale; e queste azioni individuali portano a
una conservazione generale delle condizioni favorevoli alla
sopravvivenza collettiva. (Ciò non significa che non vi furono mai
fluttuazioni: esse ci furono. Per esempio, a giudicare dalla grande
estensione dei fossili delle foreste tropicali del Cretaceo, il pianeta
doveva essere ben più caldo all’epoca dei dinosauri. Sia prima sia dopo
buona parte della sua superficie fu coperta da ampie distese di
ghiaccio. Ma sia tra l’una e l’altra di queste fluttuazioni sia dopo di
esse la Terra si stabilizzò, non arroventandosi come Venere, né
congelando come Marte.
Se il bioma terrestre non
avesse risposto alle principali perturbazioni esterne come l’aumento
della luminosità solare o gli impatti meteoritici, tanto devastanti
quanto lo sono oggi le bombe nucleari, non saremmo qui ora. La vita,
concludeva Lovelock, non è circondata da un ambiente essenzialmente
passivo a cui essa si è adattata. Al contrario, essa fa e rifà il
proprio ambiente. L’atmosfera, come un alveare o un nido di uccello, è
parte della biosfera. Poiché l’anidride carbonica viene trasformata
nelle cellule e può essere anche utilizzata per controllare la
temperatura dell’atmosfera, è probabile che un modo in cui la vita
regoli la temperatura del pianeta sia modulando il livello atmosferico
di anidride carbonica.
Alcuni scienziati
contestano l’analisi di Lovelock. L’idea della vita sulla terra come
superorganismo che risponde alle minacce a agli insulti ambientali per
assicurarsi la sopravvivenza non concorda con le idee ormai accettate
dell’evoluzione darwiniana, la quale dipende dalla competizione
di organismi in lotta. Ammettendo che Lovelock abbia ragione, come fa la
massa di geni in lotta all’interno delle cellule di organismi
localizzati sulla superficie terrestre a sapere che deve
affrontare delle crisi? W. Ford Doolittle, l’esperto di biologia
molecolare che ha effettuato una ricerca, germe di ulteriori sviluppi,
sulla biologia molecolare dei plastidi, protestò contro questa nozione
di natura, come egli la definiva, "materna". Richard Dawkins, zoologo
dell’Università di Oxford, paragonò l’ipotesi Gaia al programma "BBC
theorem", con un riferimento spregiativo alla nozione della natura come
equilibrio e armonia meravigliosi, data dai documentari televisivi.
Dawkins non poteva concepire l’evoluzione dei meccanismi di Gaia, di
controllo a livello mondiale, senza un universo "pieno di pianeti morti,
i cui sistemi di regolazione omeostatica erano venuti meno, e con una
manciata di pianeti ben regolati, ben riusciti, sparsi tutt’attorno e di
cui uno era la Terra."
Per rispondere a queste
critiche, Lovelock progettò alcuni modelli matematici. Quello più
spettacolare, il Daisy World (il mondo delle margherite), considera un
pianeta mitico che può essere ricoperto soltanto da margherite nere e
bianche e da una occasionale mucca che mastica rumorosamente margherite.
Le margherite rappresentano due specie, che crescono entrambe a chiazze
e ricoprono fino al 70% del pianeta entro intervalli specifici di
temperatura. Entrambe non crescono affatto dove fa molto freddo,
crescono lentamente al freddo, più rapidamente al caldo e non crescono
affatto, anzi muoiono, alle temperature opprimenti al di spora dei 45°C.
Lovelock, che in seguito
cominciò a lavorare con Andrew Watson alla Marine Biological Association
di Plymouth, in Inghilterra, trovò che le margherite bianche e nere
potevano funzionare come un gigantesco termostato, rendendo stabile la
temperatura di un intero pianeta semplicemente crescendo. Il fenomeno
non è misterioso, ma sinergico: è il risultato inatteso di un sistema
complesso.
Si può immaginare come
operi Daisy World. Si prenda un pianeta di margherite nere e bianche,
che ruoti attorno a una stella, il Sole, la quale rallenta ma diventa
costantemente più brillante. All’inizio, essendo il Sole freddo, non
cresceranno molte margherite. A mano a mano che esso diventerà più
caldo, chiazze di margherite di entrambi i colori spunteranno e
cresceranno rigogliosamente. Ma, quando le margherite nere fioriranno e
produrranno un maggior numero di discendenti, perché sono scure e
assorbono una la luce del Sole, impediranno a questa luce di essere
riflessa nello spazio. La crescita di macchie di margherite nere, che
assorbono calore, ha l’effetto di riscaldare un pianeta che, altrimenti,
sarebbe freddo. Ma ben presto l’ambiente circostante raggiunge un calore
opprimente e comincia a limitare la crescita delle margherite nere nelle
immediate vicinanze. L’aumento delle temperature locali porta a un
aumento globale della temperatura più forte del previsto, in un mondo
senza margherite. Cominciano allora a crescere chiazze di margherite
bianche. Ciò porta a un aumento della riflettività planetaria, o albedo,
dato che la superficie bianca dei petali delle margherite riflette la
luce nello spazio, con la conseguenza di un ritorno su tutto il pianeta
a temperature più fredde. Le margherite nere ricominciano a spuntare. Ma
il Sole, nel frattempo, continua a diventare più caldo e le margherite
bianche, riflettendo il calore, continuano a fiorire e a raffreddare il
pianeta. In breve, il Sole diventa più caldo, si formano chiazze sempre
più estese di margherite bianche, Daisy World diventa più freddo, il che
porta a una nuova crescita di chiazze di margherite nere, le quali di
nuovo si surriscaldano, creando ancora una voltale condizioni più
favorevoli alle margherite bianche. Ciò raffredda nuovamente Daisy World
incrementandone l’albedo, e così via fino a che il Sole diventa una
gigante rossa e brucia tutte le margherite. Ma, entro certi limiti di
temperature, le margherite funzionano molto semplicemente da termostato,
mantenendo il mondo vivibile, malgrado un aumento potenzialmente letale
della quantità di energia solare che raggiunge il pianta. I fiori
regolano silenziosamente la temperatura del pianeta fino a un grado
notevole, entro quello stretto intervallo che è necessario alla loro
sopravvivenza quando il Sole si riscalda inesorabilmente.
In modelli più simili al
mondo reale sono la crescita, il metabolismo e le proprietà che
riguardano gli scambi di gas nei microbi, più che le margherite, a
formare i complessi sistemi di retroazione fisici e chimici che modulano
la biosfera in cui viviamo. Gli organismi viventi, attraverso il loro
effetto sull’acqua e sulle nubi, hanno una immensa influenza modulatrice
sulla Terra. Tanto per fare un esempio, minuscole alghe che galleggiano
sul mare possono ipoteticamente fare entrare il mondo in un’epoca
glaciale semplicemente crescendo più rapidamente alle latitudini
settentrionali. Nel produrre i guscetti di carbonato di calcio, morendo
e inabiassandosi sul fondo dei mari, rimuovono il carbonio necessario
per produrre anidride carbonica; poiché l’anidride carbonica è un gas da
"effetto serra", che agisce come manto invisibile che fa entrare la luce
e la trattiene sotto forma di calore, una minore quantità di anidride
carbonica nell’atmosfera si traduce in un abbassamento delle
temperature. Ma, con temperature più basse, le alghe crescono meno, meno
anidride carbonica viene rimossa nell’aria per produrre guscetti e il
pianeta diventa tropicale. I circuiti di retroazione sono, perciò, così
strettamente collegati che una moria massiccia di alghe marine,
accoppiate all’erosione di rocce carbonatiche da parte dell’acqua,
processo che libera anidride carbonica nell’atmosfera, può anche
provocare un aumento termico dell’atmosfera.
In effetti, nel 1979 e
1980, i ricercatori europei hanno analizzato dell’aria "fossile",
rimasta intrappolata nei ghiacci polari e hanno trovato che circa 20000
anni or sono, al culmine dell’ultima glaciazione, l’anidride carbonica
aveva una concentrazione pari sola a due terzi di quella che si sarebbe
avuta all’inizio della rivoluzione industriale. Immediatamente prima che
gli esseri umani diventassero agricoltori e costituissero le prime
civiltà, l’anidride carbonica raggiunse il livello preindustriale.
L’aumento di anidride carbonica e della temperatura 12000 anni or sono
ebbe luogo in meno di 100 anni e non può essere interamente spiegato da
processi tradizionali geofisici o geochimici, come l’attività tettonica
o il corrugamento. Una fluttuazione così improvvisa poteva provenire
solamente dalla vita. Lovelock ritiene che l’improvvisa moria di una
percentuale sostanziale di alghe marine causò probabilmente questo
rapido aumento della temperatura mondiale, una trasformazione ambientale
che alla fine permise agli esseri umani di uscire dalle caverne e di
popolare la Terra.
Col tempo, il bioma
terrestre edificò elaborati sistemi di controllo di cui solo ora stiamo
diventando vagamente consapevoli. La moltitudine dei sistemi sensoriali
negli organismi viventi, la capacità di questi di avere un metabolismo e
una crescita esponenziale e la straordinaria diversità dei viventi che
interagiscono sulla Terra sono sufficienti a spiegare, in teoria, la
modulazione ambientale su scala globale.
Ma questo genere di
modulazione ambientale opera anche su una scala più piccola. Anche sulla
scala di gran lunga più piccola dei singoli animali, la regolazione
della temperatura comporta più di un semplice singolo sistema di
retroazione. Realizziamo un esperimento mentale in cui una persona (un
insieme di cellule, come il bioma terrestre) deve affrontare un netto
calo della temperatura ambientale. Il suo primo tipo di risposta sarebbe
la tattica evolutasi più di recente: una risposta da alta tecnologia,
che consisterebbe nel girare il termostato, nell’inserire il radiatore
elettrico, o addirittura nel pagare per il servizio di teleriscaldamento
attraverso un modem del proprio computer domestico. Benché queste
modalità diventeranno forme sempre più comuni di regolazione della
temperatura, esse sono così recenti da essere ancora estremamente
incerte tra i vari sistemi di retroazione. A un livello più basso, vi
sono invece le risposte da "bassa tecnologia" ai rischi delle basse
temperature: avvolgersi in coperte e vestirsi con abiti più pesanti.
Questo tipo di tecnologia, ereditata dall’abitudine di prendere in
trappola gli animali di climi freddi o cacciarli, utilizzando poi le
loro pelli e pellicce folte per proteggersi, è antica di circa 100000
anni. Il cucito, un suo importante perfezionamento, potrebbe, a
giudicare dai reperti archeologici di aghi per cucire il legno, avere
aiutato le popolazioni orientali ad attraversare lo stretto di Bering
per recarsi nell’America settentrionale. Il circuito di retroazione dei
vestiti è semplice: quando la temperatura si abbassa i vestiti vengono
indossati; quando si innalza vengono tolti. La regolazione della
temperatura, come comportamento, ha fatto la sua comparsa negli esseri
umani molto prima che venissero costruiti i sistemi di riscaldamento a
base di combustibili fossili ed è ancor oggi predominante.
Se continuiamo a
sottoporre il soggetto del nostro esperimento a uno stato di stress,
indurremo in lui un metodo di regolazione della temperatura ancora più
antico e ancora più affidabile: si tratta di sistemi comportamentali,
non tecnologici, di retroazione. Queste risposte si possono fare
risalire a qualcosa come 200 milioni di anni or sono e consistono nel
correre, nel fregarsi braccia e gambe, nel rannicchiarsi e nell’assumere
la posizione fetale, arrotolandosi, quando si ha freddo. Quando sono
minacciati dal caldo, i mammiferi come noi reagiscono con un
comportamento opposto: stendono gli arti e cercano l’ombra. In generale
diventano meno attivi. Tuttavia i mammiferi condividono questo tipo di
meccanismo di controllo della temperatura, che dipende dall’avere un
sistema nervoso sufficientemente complesso, base del comportamento
appreso. A mano a mano che ci avviciniamo al microcosmo originale, i
sistemi di retroazione diventano ancora più prevedibili, fondamentali e
affidabili.
Ancora più antichi dei
sistemi comportamentali sono i tipi di controllo rigorosamente
fisiologici. Quando l’ambiente si raffredda, i vasi sanguigni dei
mammiferi si allontanano automaticamente dalla superficie cutanea per
contrazione dei muscoli che si trovano nelle loro pareti. Più lontano
della pelle, il sangue viene rifornito agli organi vitali in maggiore
quantità e gli organismi risultano così più protetti. Segue il
congelamento: le dita delle mani e dei piedi ed altre estremità
diventano fredde come ghiaccio e intirizzite. Se il soggetto è ancora
sotto stress, si ha il distacco delle estremità. Il naso e la punta
delle orecchie, le dita delle mani e dei piedi si staccano. La
sudorazione, che è la risposta opposta, si basa sull’evaporazione di
acqua per raffreddare il corpo. Queste risposte fisiologiche alla
temperatura sono ancora più antiche e ben radicate delle altre. Forse
sono tanto antiche quanto gli stessi animali (circa 600 milioni di anni
or sono).
Se, nel nostro
esperimento mentale, continuiamo a sottoporre il soggetto alla tensione
del freddo, spingiamo fino al limite il suo sistema autopoietico e
mettiamo a nudo l’antico metodo genetico di controllo della temperatura.
Se l’ambiente diventa freddo oltre il limite di tolleranza dell’uomo,
questi muore e non lascia (ulteriore) prole. Se la tensione del freddo
continua, l’intera popolazione e comunità congela fino a morire senza
lasciare discendenti. Tuttavia, nuove popolazioni e comunità
sostituiscono le vecchie, e alcune hanno mezzi più efficaci per
combattere il freddo. Solo organismi diversi o mutanti, in grado di
tollerare condizioni climatiche rigide, riusciranno a sopravvivere.
Un’enorme pressione selettiva viene esercitata su quegli organismi che
possono migliorare gli effetti dell’ambiente e del freddo circostante.
Questo è ciò che è
avvenuto di solito nel mondo. Se la tensione è abbastanza forte,
sopravviveranno soltanto gli organismi tolleranti. In altre parole,
quando fa troppo caldo, le cellule muoiono. Quando fa troppo freddo, le
cellule muoiono. Quando la temperatura è giusta, le cellule lasciano una
numerosa progenie. Ma il "giusto" della temperatura dipende da ogni
genere di vita. La selezione naturale darwiniana è l’ultimo antico
sistema di retroazione di Gaia su cui tutti quelli tecnologici e
comportamentali più recenti si basano. Oggi, se si ha freddo si accende
il riscaldamento, quindi si mette un maglione, poi si comincia a tremare
per generare calore. Se il freddo incalza ancora, si entra in uno stato
di torpore, in cui il metabolismo si abbassa; se il freddo aumenta
ancora e non cede, si muore. Ma la morte individuale fa parte dei
sistemi più ampi di stabilizzazione ambientale. Prima di morire,
l’individuo ha fatto aumentare la temperatura ambientale e, morendo e
non lasciando una prole simile a sé, ha fatto diminuire le probabilità
che i futuri periodi di freddo distruggano la vita, spianando la via
alla riproduzione di organismi adattati alle basse temperature.
Sistemi viventi di
regolazione della temperatura e dell’atmosfera a livello planetario
possono solo essere immaginati. Da una prospettiva planetaria, tuttavia,
non sembra che essi siano in un equilibrio naturale difficile, sull’orlo
del collasso. Al contrario, sono vigorosi. I sistemi di controllo
ambientale più importanti sono le istituzioni microcosmiche collaudate
dal tempo, che producono gas e modificano l’albedo, e che sono di gran
lunga più resistenti e più antiche della combustione di oli minerali per
riscaldamento e dell’impiego di termostati domestici. Per quanto
riguarda il futuro, la nostra specie potrebbe essere come quelle
margherite nere rigogliose, che crescono così rapidamente da rendere
ottimale l’ambiente per altre margherite, perfino quando si arroventano
sino alla morte. Ogni individuo, popolazione o specie è un’opzione che
si esercita soltanto in condizioni favorevoli. In caso di catastrofe,
come regolarmente avviene nella storia della vita, alcune opzioni non
saranno più valide. Ma la loro fine, sia come morte individuale sia come
estinzione, renderà la biosfera nel suo insieme più robusta, più
complessa e con maggiore capacità di ripresa. (Ciò, naturalmente, non ha
nulla a che vedere con il progresso o il benessere umano. Nella
documentazione fossile non si nota alcun segno di progresso, solo di
cambiamento ed espansione.)
Inoltre, sembra che la
maggior parte delle opzioni procariotiche non si sia ancora estinta. Né
l’esistenza né l’estinzione di specie sono una proprietà dei batteri.
Benché la morte individuale dei batteri avvenga senza interruzione,
forti pressioni sul regno delle monere per la capacità di effettuare
scambi genetici a livello mondiale hanno portato al rapido scambio di
biotecnologie naturali, a enormi tassi di crescita delle popolazioni e,
in generale, alla capacità di resistere con attitudini metaboliche
intatte anche durante le più gravi crisi planetarie.
Solo con un’esplorazione
scientifica completa dei meccaniscmi di controllo di Gaia ci si può
attendere di attuare nello spazio habitat viventi che si autosostentino.
Se mai dovessimo progettare ecosistemi chiusi in grado di rifornire le
loro proprie riserve vitali, dovremmo studiare la tecnologia naturale
della Terra. Abitare altri mondi, avere la possibilità di passeggiare in
giardini, per esempio, su Marte, è un progetto gigantesco, che si può
pensare soltanto da una prospettiva di Gaia. Dovremmo conoscere le
nostre radici nel microcosmo prima di andare in quel limbo che è il
supercosmo. Ma, sia che l’uomo porti nello spazio l’ambiente primevo
dell’antico microcosmo si che, cercando di farlo, muoia, sembra proprio
che la vita sia tentata in questa direzione. E la vita, finora, ha
resistito a tutto, tranne che alla tentazione.
tratto da
Microcosmo
'Dagli
organismi primordiali all'uomo: un'evoluzione di quattro miliardi di
anni'
di Lynn Margulis e Dorion Sagan
-Mondadori-